Assegno Unico, sostegno per i figli a rischio: l’Europa va contro il Governo italiano | I cambiamenti saranno sostanziali
L’assegno unico è nel mirino della UE: Bruxelles chiede cambiamenti e minaccia azioni legali se l’Italia non si adegua
L’assegno unico, implementato l’anno scorso per semplificare il sostegno alle famiglie con figli a carico, è ora al centro di una disputa tra il governo italiano e l’Unione Europea.
La Commissione UE ha, infatti, sollevato una serie di rilievi, sostenendo che i requisiti previsti per godere del contributo potrebbero violare le norme comunitarie.
Attualmente l’assegno unico può essere richiesto da diversi soggetti: dipendenti, autonomi, disoccupati e pensionati, purché rispettino una serie di parametri stabiliti dal governo e che oggi sono l’oggetto del contendere nei rilievi mossi dalla Commissione Europea al nostro Paese.
Per sottolineare il conflitto ravvisato tra la norma del governo italiano e quelle europee, ecco l’invio di un parere motivato che invita alle correzioni e, se disatteso, potrebbe dare il là ad una procedura di infrazione a carico del nostro Paese.
Ue, per l’assegno unico requisiti discriminanti
L’Europa, infatti, ritiene che i requisiti imposti dai legislatori per beneficiare dell’assegno unico esprimano una discriminazione nei confronti di potenziali soggetti che, senza queste restrizioni, potrebbero godere del sostegno previsto per i figli a carico e, per questo, ha chiesto al nostro Paese di rivederli alla luce dei suggerimenti proposti.
Il governo italiano ha due mesi di tempo per rispondere alle richieste dell’UE, altrimenti il caso potrebbe essere portato alla Corte di Giustizia Europea con il possibile rischio – se le ragioni dell’Italia non fossero ritenute valide – di subire sanzioni e di vedere comunque apportate le correzioni richieste.
UE, tutti i cittadini europei hanno gli stessi diritti sociali
A far scattare il “No” di Bruxelles sono i requisiti relativi alla residenza: viene riconosciuto il diritto all’assegno unico, al momento, solo per i soggetti che risiedano in Italia da almeno due anni e siano conviventi con i figli nello stesso nucleo familiare.
Secondo la UE, quindi, questi requisiti – che rappresentano la condicio sine qua non per ottenere il sostegno – potrebbero violare i principi fondamentali europei sulla libera circolazione dei lavoratori e sul coordinamento della sicurezza sociale.