Pensione, se la rimandi ottieni 3 regali incredibili dallo Stato: in pochi mesi l’assegno è raddoppiato
Scopriamo assieme quali sono i tre vantaggi se si rimanda il pensionamento di un anno. Resistere a lavoro, talvolta, conviene davvero!
Più gli anni passano, e più si ha la tentazione di mollare tutto e ritirarsi in quiescenza. E’ un desiderio più che comprensibile, d’altronde, dopo una vita passata a lavorare.
Talvolta però, ciò non è purtroppo possibile: si pensi, ad esempio, alle nuove generazioni, le quali saranno costrette, si dice, a lavorare fino oltre i settant’anni. Può capitare però che, se pur di controvoglia, si accetti, di buon grado, di rimanere occupati almeno un anno in più.
Il motivo è molto semplice: lavorare anche solo dodici mesi in più rispetto all’età minima per la quiescenza può significare molto, in termini economici, per il futuro pensionando. Esistono infatti due vantaggi sicuri e importanti per tutti, se si accetta di procrastinare la data del proprio pensionamento. E, se non si è troppo in là con gli anni, i vantaggi possono addirittura diventare tre.
Ma di quali vantaggi stiamo parlando? Quali “regali” può farci mai lo Stato se si rimane più tempo occupati? Iniziamo dal primo, che è piuttosto intuitivo. Al momento della quiescenza, come è noto, il montante totale dei nostri contributi versati e rivalutati – al fine di determinare la pensione che ci spetta – viene moltiplicato per un coefficiente particolare, detto “coefficiente di trasformazione“.
Il calcolo della pensione
Questo “numerino magico” trasforma il cumulo dei contributi versati nell’assegno che percepiremo – al netto di eventuali adeguamenti – per il resto della nostra vita.
Esso si basa su complessi calcoli matematici, di tipo attuariale, che hanno come parametro principale l’aspettativa di vita. E poiché più si è anziani e più l’aspettativa di vita decresce, se si attende un anno in più per il pensionamento, il coefficiente di trasformazione ci premierà, poiché – a parità di montante – genererà un assegno previdenziale più alto.
Più contributi versati e sgravio fiscale
L’altro vantaggio è anch’esso banale. Lavorare un anno in più significa anche versare un anno di contributi in più. Poiché in genere gli stipendi percepiti negli ultimi anni lavorativi sono i più alti della carriera lavorativa, ciò significa aumentare non di poco il proprio montante contributivo.
Se sommiamo assieme i due vantaggi sopra delineati, si può anche arrivare ad ottenere incrementi di 100/200 € dell’assegno previdenziale mensile. Infine, il terzo “regalo”: Quota 103. Molti sanno che i sessantaduenni con 41 anni di contributi possono anticipare l’uscita dal lavoro (62+41=103). Se però costoro non lo fanno, ottengono un fortissimo sgravio, poiché la quota di contributi a proprio carico – che incide a regime per un 9,19% sul proprio imponibile previdenziale – viene azzerata e riversata integralmente in busta paga.