Licenziamento, in questo caso il capo è costretto a riassumerti: la legge parla chiarissimo
C’è un caso di licenziamento ingiustificato apparentemente paradossale. Scopriamo assieme di quale si tratta.
Nonostante oggi i contratti di lavoro a tempo indeterminato risultino essere una fra le tante tipologie di inquadramento lavorativo, essi rimangono estremamente appetibili per chi cerca un’occupazione.
Uno dei motivi principali di interesse verso questo tipo di contratti è certamente l’idea che essi garantiscano maggior tutele per chi lavora, soprattutto per quanto riguarda il licenziamento. Se prescindiamo dai casi in cui vi è crisi aziendale, l’unico caso in cui è possibile recedere da un contratto di lavoro, da parte del datore, è quello di giusta causa.
In soldoni, questo capita quando il lavoratore compie azioni disciplinarmente gravi, tali cioè da compromettere definitivamente il rapporto di collaborazione. E’ il caso, ad esempio, del commesso che viene sorpreso a rubare in negozio o dell’impiegato che, in orario di ufficio, si assenta frequentemente e in modo ingiustificato per andare in palestra, a fare compere o altro.
Essere licenziati per giusta causa, peraltro, rappresenta una macchia nel proprio CV: si perde il diritto all’indennità di disoccupazione e – se le voci circolano – si rischia anche di non trovare più un lavoro adeguato alle proprie capacità professionali.
Lavorare altrove in malattia: un caso ambiguo
Un caso in cui si può esser licenziati per giusta causa può essere anche quello in cui il lavoratore – durante il periodo di malattia – svolge un’altra attività. Ma sul punto occorre fare però alcuni importanti distinguo. Infatti, non è il semplice svolgere altra attività lavorativa durante la malattia che di per sé causa il licenziamento.
La giurisprudenza, grazie ad alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione, ha chiarito infatti che il licenziamento per giusta causa è legittimo solamente nel caso in cui le attività – lavorative o meno – svolte durante il periodo di malattia, compromettano l’effettiva guarigione o ritardino il rientro al lavoro.
Il caso del barista dipendente
La sentenza n.23747 della Cassazione del 4 settembre scorso ha ribadito che, talvolta, l’incompatibilità tra l’assenza per malattia dal proprio lavoro come dipendente e lo svolgere altra attività non v’è. Il caso preso in esame è quello di un lavoratore a tempo indeterminato presso una azienda, che risulta anche essere proprietario di un piccolo bar.
Costui, durante gli ultimi giorni del periodo di malattia, ha svolto alcune semplici mansioni presso il proprio locale – fare qualche telefonata, scrivere qualche messaggio – che, di fatto, non avrebbero compromesso affatto il rientro al lavoro, ritardando la guarigione da un banale trauma alla mano. Pertanto, il recesso unilaterale dal contratto da parte del datore di lavoro si rivela infondato e il dipendente risulta avere pieno diritto a una tutela risarcitoria e reintegratoria.